LibriRitrovati #1 – Vita di poeta, di Robert Walser
- epicentriblog
- 4 giorni fa
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[L’abitudine che ho, e che iniziai a costruire da ragazzetto, di comprare libri senza troppi contenimenti ha comportato da un lato, comprensibilmente, il formarsi di una discreta libreria in termini quantitativi; dall’altro, il curioso fenomeno epifanico secondo il quale ogni tanto mi imbatto in volumi che non ricordavo di avere. E mi prende vaghezza di capire di che si tratta, visto che è quasi impossibile ricordare ciò che mi mosse all’acquisto (pur sapendo, in imo fundo, che spesso era la suddetta compulsiva bramosia).
Ecco perché questi post, che si candidano a essere le tappe di un (non necessario, certo) itinerario di riscoperta e lettura.
Si chiamerà quindi #libriritrovati, accettabilmente cacofonico]
LibriRitrovati #1 Robert Walser, Vita di poeta, Adelphi, trad. di Emilio Castellani
Robert Walser (trovate un bel profilo qui) pubblica Vita di poeta sul finire del 1917, quando ha già all’attivo diverse pubblicazioni, compreso un trittico di romanzi che hanno suscitato un discreto interesse, soprattutto tra i letterati. Questo si configura come una raccolta di prose brevi e brevissime dedicate alla bellezza del vagabondaggio ozioso e dell’ammirazione stupefatta della natura. Il protagonista è un entusiasta perdigiorno, un viandante amico agli esseri umani che incontra, incuriosito da cose e persone, ma sempre pronto ad abbandonare qualsiasi forma di legame per riprendersi la più importante tra le ricchezze umane: la libertà. È dunque quasi un quaderno di viaggio, discontinuo ma omogeneo, in cui uguale parte hanno la pressione del piede sulla strada e l’apprensione di occhi e orecchi e naso sul mondo.

La natura dei testi è di carattere autobiografico, come spesso in Walser. Una delle camminate raccontate, ad esempio, serve per raggiungere la casa di Joseph Viktor Windman, a cui il testo rende omaggio, responsabile di aver pubblicato i primissimi scritti di Walser nel quotidiano di Berna Der Bund; erano testi che non brillavano, ma servirono a Walser per farsi notare e per essere introdotto nel circolo letterario Art Noveau, dando così formalmente inizio alla carriera letteraria.
Al centro delle prose di Poetenleben c’è dunque lo stesso personaggio, un giovane che ama vagabondare, attraversare paesi, perdersi nell’abbondanza pervasiva della natura, conoscere persone creando legami tenui, che non possano mai costituire un freno al desiderio primario di continuare a girare il mondo. Ha uno sguardo pieno di stupefazione, e si concede riflessioni (è tutto soggettivo, filtrato dalla prima persona) il cui tono è gaudente, riflesso di un animo contento. L’impressione è quella di una visione di innocua ingenuità che a volte lascia spazio a improvvise annotazioni di esatta introspezione.
A Monaco avevo conosciuto assai bene certi personaggi ragguardevoli del mondo letterario; ma le riunioni di artisti e di letterati mi avevano dato sensazioni strane e deprimenti; mi ci sentivo fuori posto. Non saprei ormai dire nulla di più preciso in proposito; questo solo so: qualcosa mi spingeva lontano dai salotti, dove imperano le finezze e i pardon, verso il mondo aperto, verso il regno del vento, delle intemperie, delle parolacce, dei modi ruvidi, di tutte le rozzezze e le irriverenze. Giovane e insofferente com’ero, non riuscivo a sopportare quell’atmosfera di signorile decantazione. Ogni contegno irreprensibile, impeccabile, ricercato, elegante, m’infondeva soltanto inquietudine e una sorta di paura. Onnipossente, buono, grande Iddio, com’è bello andarsene a piedi d’estate sulla tua immensa terra calda e tranquilla, con la relativa, splendida aggiunta di schietta sete e fame! Tutto è così tranquillo e luminoso, e il mondo immenso. [Pag. 44]
Sarà questo insieme di atmosfera e soggettivismo, lirismo bucolico e incantato amore per la vita e gli umani, a far sì che Hermann Hesse recensisse con rapido e incontenibile entusiasmo questo Vita di poeta, accattivato dal vagabondo immerso nei colori e negli odori, libero cittadino del mondo, desideroso di incontrare persone e visitare luoghi, con una curiosità immediata che è più esperienziale che non intellettuale.
Hesse scrive: “se Walser avesse avuto centomila lettori, il mondo sarebbe stato migliore. Leggere Walser è un balsamo per l'anima, ti trascina con la sua dolcezza in un mondo idilliaco fatto di verdi boschi e gorgoglianti ruscelli. Ti fa apprezzare tutta la bellezza della natura con la sua penna così delicata e pura”.
Franz Haas, in un articolo dedicato proprio agli ammiratori (poi redenti) di Hermann Hesse, incomincia con questa affermazione: “Le dichiarazioni d’amore di scrittori a colleghi famosi sono di solito bugie necessarie e prive di discrezione, mentre i giudizi negativi, pur mancando anch’essi di sincerità, rimangono spesso nascosti per lungo tempo nei diari e nelle lettere. Una storia di giudizi reciproci degli scrittori dovrebbe essere scritta da esperti della vanità e dell’invidia”.
Il fatto che Walser non fosse ancora famoso, vale forse a farci prendere per buone le parole dello scrittore di Calw, di solo un anno più vecchio ma più inserito nell’ambiente culturale europeo, che aveva, due anni prima, pubblicato Knulp. Storia di un vagabondo.
Quello che a me sembra, a lettura ultimata, è di avere a che fare con una sorta di impressionismo narrativo che cerca di riportare sulla pagina l’estasi dell’immersione nel mondo della natura, soprattutto, col risultato di non arrivare mai al fondo di qualcosa. E nondimeno, è proprio in questo che Walter Benjamin, il primo a dare un ritratto contestualizzato di Walser, vede la sua grandezza, che esprime attraverso parole che spingono a riflettere ancora e ancora. Le prose di Walser, dice, «Hanno dietro di sé la follia, e per questo rimangono di una superficialità così lacerante, così completamente inumana, così impassibile. Se volessimo descrivere con una parola quello che essi hanno di felice e perturbante, potremmo dire che sono tutti "guariti"».

La critica serve, serve sempre: anche a capire ciò che non ci piace e perché non ci piace. La mia repulsione se ne viene dunque, forse, proprio da questa superficialità guarita della quale non vedo la piaga; dietro al ritratto della natura, così perfetto, non trovo alcuna indicazione dell’abisso che si spalanca oltre la falla, per quanto piccola, per quanto remota. È davvero, per me, troppo pacificato.
Cosa diversa da quella che si trova, ad esempio, nelle poesie giovanili (ne parla Alessandro Bosco su DoppioZero, qui), scritte tra il 1898 e il 1900 e pubblicate solo nel 1909, dove la natura, che pure c’è, è solo una parte del quadro, popolato dall’Io e dal suo opposto; dove convivono Io ed Es e dove la scissione, lo scarto dello sdoppiamento, incrinano ogni visione.
C’è un alberello sul prato
e con lui molti alberelli graziosi.
Una fogliolina trema nel vento gelido
e con lei molte singole foglioline.
Un mucchietto di neve scintilla sul bordo del ruscello
e con lui molti mucchietti bianchi.
Una piccola cima di montagna ride sulla valle
e con lei molte basse cime.
E in tutto questo c’è il diavolo
e con lui molti poveri diavoli.
Un angioletto volge altrove il suo viso piangente
e con lui tutti gli angeli del cielo.
[Trad. di Antonio Rossi]
Di Walser, scrittore svizzero germanofono, conoscevo solo un librettino, edito sempre da Adelphi, intitolato Sulle donne, con traduzione di Margherita Belardetti. Era un manoscritto del 1926, pubblicato postumo nel 1967 col titolo di Das Tagebuch – Fragment von 1926. Ne conservavo un ricordo molto tenue e, riprendendolo dopo aver terminato Vita da poeta, ho recuperato i segni, le annotazioni, le sottolineature; e i passi così marcati mi sono tornati chiari, felici per una certa sottile intelligenza. Così che le due immagini dello scrittore faticano a fondersi, anzi, è come se l’una respingesse l’altra. Il fatto che il libretto sulle donne se ne viene da pagine di appunti avrà forse una certa valenza, penso; c’è chi consegna alle pagine che tiene per sé molta più perfezione di quella che resta nelle pagine pensate per la pubblicazione, che sono, a forza di manomissioni e aggiustamenti, molto lontane dal vero per eccesso di ricerca di freschezza.
È la maniera che viene ad addomesticare lo stile.
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