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Il cerchio perfetto, di Claudia Petrucci



Un luogo è ancora un luogo se non lo puoi vedere?



In Il cerchio perfetto, Sellerio 2023, Claudia Petrucci mette in scena due storie che hanno come fulcro una curiosa casa ristrutturata in modo visionario nel 1985, in via Saterna, a Milano. La prima storia ha per protagonisti Lidia, la committente in procinto di sposarsi, e Dario l'architetto responsabile della ristrutturazione, e si snoda, appunto, nel biennio 1985/86; la seconda invece accade in un indefinito futuro quando è stato raggiunto, sia sotto l'aspetto sociale, sia sotto quello ambientale, il punto di rottura. L'umanità sta viaggiando verso la sua conclusione, verso il definitivo proprio autoannientamento. In questo futuro immaginato dall'autrice, Milano vive costantemente nella nebbia e grava su cose e persone un'aria irrespirabile. Protagonista principale di questa vicenda è Irene, curatrice fallimentare di immobili di pregio finiti all'asta, che viene assoldata da un avvocato milanese per vendere la casa di via Saterna. Per Irene, che vive e lavora prevalentemente a Roma, sarà un momento di grande opportunità lavorativa, ma anche di confronto familiare: i genitori vivono a Milano e Irene dovrà confrontarsi con il padre e con alcuni aspetti rimasti a lungo nascosti.



Il secondo romanzo di Claudia Petrucci è una tragedia contemporanea, dove ancora trovano spazio alcuni elementi chiave del genere, come la presenza di Nemesi o come l'utilizzo dell'escamotage dell'agnizione, ma nella cui conclusione non trova spazio la morte. È un aspetto interessante che ha a che vedere, come spero sarà chiaro, con la riflessione sulla specifica idea di temporalità che sta dietro al romanzo e alla sua preziosa architettura.


Nella parte ambientata nel passato, infatti, il racconto va all'indietro; la narrazione procede per frammenti, brevi, sincopati, ellittici, e muove verso quello che può essere considerato come il punto di origine di tutta la vicenda. Sembra dunque che la linea del tempo vada al contrario.

Nella parte ambientata al presente, in modo speculare, la linea del tempo procede in avanti. A lettura ultimata si comprende però che il punto di arrivo è, seppure guardato da altra prospettiva e collocato nel ricordo, quello stesso punto di origine. Un simile doppio movimento teso, pur nelle differenze, ad arrivare allo stesso punto, rimanda allora inevitabilmente a una temporalità circolare, non lineare, e si coagula attorno alla pianta circolare interna della casa di via Saterna, simbolo della nuova concezione, della nuova idea che sottende la ristrutturazione ma, più ancora, l'intero meccanismo narrativo. Due tempi apparentemente lineari sono invece le due direzioni di un tempo circolare.


Il progetto è stato concepito mutuando il principio postmodernista della circolarità degli eventi, dice, un'idea di tempo che scardina la concezione lineare di passato e futuro come momenti che si annullano l'uno dopo l'altro e supera la temporalità di principio finalistico. La canonica pianta quadrata esterna del progetto è smentita dalla pianta circolare interna, in cui i diversi elementi dello spazio convergono in simultaneità.


In questa casa tutto accade; non letteralmente, nel senso che altri luoghi compaiono nella narrazione e sono fondali di eventi; ma la casa di via Saterna aggetta su tutti e getta la propria ombra su ogni cosa, un’ombra che nel presente è poi un concetto più immaginato che reale, non essendo il sole più in grado di bucare la coltre grigia, densa, avvilente, di nebbia che si stende sulla città, sulle cose, sulle persone.


Il cerchio, che è cerchio perfetto stando al titolo ed è il cerchio che compie il sole ancora visibile nel biennio 1985/86, è il movimento entro il quale accade il miracolo, cioè accade che la luce che passa attraverso il grande lucernaio poso sul tetto della casa va ad illuminare la vasca al centro della sala sottostante, gettando ovunque riflessi di luce e colpendo la pietra angolare presente sul fondo.

Se dunque la luce illumina l'origine, fare luce è squadernare il centro nevralgico della costruzione e, dunque, di quella costruzione che è il dipanarsi degli eventi e, infine, di quella ulteriore costruzione che è la narrazione di quegli eventi. Tre livelli, tre scatole l'una dentro l'altra, che sono racconti, dentro racconti, dentro racconti.


«Sì. Sott'acqua», Dario indica la vasca. «La pietra d'angolo, o pietra angolare, è la pietra che sostiene l'intero edificio. Noi oggi la celebriamo. La pietra d'angolo è il fondamento. Mi sembra di avere costruito la casa intera allo scopo di onorarne una sola parte; tutta la costruzione non è che una giustificazione a questo centro di pochi metri. Su questo centro si regge ogni cosa, fuori, e ancora di più dentro».


La casa è pensata come gesto estremo di creatività e provocazione, contro i pregiudizi e contro il semplice affidamento alla superficie delle cose, alla loro facciata:


Il progetto di via Saterna si fonda su questo inganno, sulla garanzia di una certa presunzione nello sguardo estraneo e sul disvelamento del pregiudizio, sullo sbriciolamento della deduzione logica.


Nel momento del rischio, nella decisione per certi versi eroica di dare vita a un progetto eccentrico, visionario, fuori tempo e fuori contesto, l'architetto fino a quel momento sconosciuto, diviene famoso, guadagna quello che per i Greci era kleos, gloria luminosa, lumen-numen che si ripercuote, come visto, nell'idea di far passare il raggio del sole attraverso il buco centrale posto in alto e verso la materia fondamentale posta in basso.

Ma nel futuro distopico la nebbia che opprime e oscura, impedisce questo e fa sì che la casa decada ed entri nel circolo vizioso della compravendita, del fallimento (esistenziale se non aziendale), dell'asta: momento che sancisce lo scollamento tra valore d'uso e valore di scambio, venendo a mancare l'investimento affettivo a favore di quello economico. Un aspetto paradossale messo chiaramente in luce dall'esempio di Venezia, dove l'acquisto/aggiudicazione prescinde da qualsiasi calcolo lungimirante, se è vero che la città è destinata a scomparire a breve:


Da quando, alla COP34 di Nusantara, è stato annunciato che la città sarà coperta dal mare entro il 2042, il valore degli immobili è schizzato alle stelle. Poter fare affari a Venezia è diventato il sogno di qualsiasi immobiliarista: il volume di compratori internazionali si è quintuplicato. Finite le vendite regolari, sono rimasti solo quelli come me; ci siamo messi a caccia delle vendite fallimentari, andando alla fonte di patrimoni e aziende, rovistando negli affari delle famiglie, spiando. A un certo punto, trattare una proprietà su Venezia è diventato così remunerativo che alcuni dei miei colleghi, coperti dalle case d'asta, hanno pensato di poter entrare nel mercato provocando la bancarotta di questa o quella impresa a rischio, il fallimento di aziende e patrimoni non assicurati o fragili... ma non è questo il punto. La ragione per cui tutti volevano comprare una casa a Venezia è che era ormai certo che sarebbe presto affondata, e che, di lì a vent'anni, nessun edificio sarebbe più stato accessibile.


In questo processo di vendita delle case, ormai del tutto slegato dal senso dell'abitare, la protagonista Irene riconosce di avere parte - seppur marginale e pur consapevole che se non lei lo avrebbe fatto qualcun altro - e di aver contribuito a impedire che quote sempre maggiori di bellezza venissero sottratte alla visione e al godimento dei molti. Di nuovo si torna al concetto espresso dalla frase messa in esergo a questo testo, e cioè alla relazione tra la visione di un posto e la sua essenza di luogo. In fondo, questa luce solare che compie il cerchio perfetto e va a illuminare la pietra angolare è la luce che permette di vedere: fintanto che essa c'è e mostra, la luce salva; nel momento in cui scompare, la nebbia si fa ovunque e fagocita i protagonisti tanto da impedire loro di accorgersi di quanto accade. Irene su tutti non si rende conto del tranello che le viene teso e che funziona perché a lei manca lo sguardo per cogliere i dettagli.


Il ruolo della casa in via Saterna, ad un tempo bellissima e orribile, fuori anche dai registri catastali perché oggetto di revisione, casa ingannatrice e luogo di morte violenta, è decisivo; la dicotomia forte è tra ciò che essa è stata storicamente e ciò che è diventata: da luogo di senso a luogo di dannazione, perché incapace di assumere il ruolo proprio di una casa: collante e contenitore, habitat e habitus delle persone.


È assai significativo che a mettere in luce per primo la follia insita in questa decomposizione sociale che segue alla perdita di valore della casa e dell'abitare sia il padre di Irene, colui che ha dato origine a tutta la vicenda e che, lavorando sulla differenza tra interno ed esterno, ha infine scelto di mantenere e consolidare anche esistenzialmente la pianta quadrata rispetto a quella circolare, permettendo al dolore di imporsi.


Le case non sono oggetti, sono state abitate da esseri umani... sono progetti concepiti con idee di grandezza, spesso anche con sentimento... idee di costruzione, di edificazione. E tu prendi queste idee, le vendi a qualcuno e le neghi per sempre a qualcun altro. Dimore storiche che diventano hotel, musei pubblici trasformati in case private, ricchi che si fanno la doccia sotto gli affreschi di Raffaello. È pura follia.


La tragedia contemporanea rappresentata nel secondo romanzo di Claudia Petrucci non necessita della morte, che, pur presente, è qualcosa che appartiene ad un altro mondo, a un tempo originario. Piuttosto, è proprio la mancanza di morte, il mantenimento di una sorta di epochè esistenziale se vogliamo, che costituisce la sostanza tragica della storia, in cui tutto, seguendo l'inganno della casa di via Saterna, sembra rivoltarsi e mostrare il lato nascosto di sé: le persone non sono chi dicono di essere, non ricordano ciò che dovrebbero ricordare, in cui i nomi non servono più a nominare e dire, ma mentono; in cui, alla fine, chi vende è portato (costretto?) a comprare le cose che dovrebbe vendere, facendo così collassare la logica del capitalismo stesso.


In pagine densissime Claudia Petrucci ci accompagna a un interrogativo finale che va ben oltre quanto abbiamo fin qui mostrato, e che lascia un doppio enigma da sciogliere. La luce per farlo ancora manca. Come in ogni vero romanzo, il cerchio, alla fine, è imperfetto.




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