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La meccanica dei corpi, di Paolo Zardi

Aggiornamento: 26 mar



Paolo Zardi torna in libreria e lo fa con una raccolta di cinque racconti, La meccanica dei

corpi pubblicato da Neo, cinque storie contemporanee riunite sotto il cappello del terzo principio della dinamica di Newton. quello dell’azione e reazione, l’unico che interessa due corpi e non uno.


Ed è così, nelle cose dei mortali, sebbene con differente chiarezza. E se una storia è,

ridotta ai minimi termini, il racconto di qualcuno che fa qualcosa da qualche parte, è certo che spesso, nel farlo, costui si scontra letteralmente o simbolicamente con qualcun altro. A nessuno, forse, interessa lo stato di quiete dei corpi, non certo a Zardi, che nei testi indaga relazioni e interazioni umane e punta il riflettore su come esse determinino i movimenti dei personaggi nel (loro) mondo.


Pur nelle diverse articolazioni narrative dei cinque racconti, abbiamo a che fare sempre

con il medesimo narratore, che ha i caratteri dell’etologo e dell’antropologo, che scava nelle

zone di interesse e comfort dei suoi soggetti di lavoro, e li mette spesso di fronte a se stessi,

costringendoli ad assomigliarsi.

Era la faccia, certo, e anche la voce; ma quando la gente cambia, quando cresce e poi invecchia, rimane evidente il nocciolo dell’individuo che ha vissuto dentro quel corpo. Lì, invece, era come se, seduto a tavola con loro, ci fosse un altro uomo, simile nell’aspetto al precedente, eppure diverso. Un cugino, ecco: un tizio che non avrebbe mai detto potesse essere suo figlio.

È una perlustrazione esistenziale che indaga azioni manifeste e pensieri reconditi, che prende il calco del modo in cui ciascuno occupa lo spazio, e che di ciascuno traccia lo spostamento tra i luoghi; soprattutto, questo narratore sembra avvicinarsi ai propri personaggi e poi schivarli, evidenziando i confini netti dei loro corpi, la loro presenza concreta nel mondo, la loro massa variabile e misurabile, il loro ingombro.


Come a ricordare che ciò che pensiamo, diciamo e facciamo dipende inesorabilmente

dalla nostra consistenza terrena, dall’equilibrio di pieni e vuoti, dalle zone concave e

convesse, da ciò che si ritira e da ciò che pende e aggetta. Il corpo di cui il titolo fa menzione chiara, è nei racconti colto in differenti stati, come risultato di forze che in varia misura hanno agito su di lui.


Così, nel primo racconto L’era della dignità borghese, incontriamo il corpo

metaforicamente disintegrato di Lucia, che sembra non riuscire a reggere la pressione che un'anonima metropoli – forse troppo manicheisticamente forma del male – esercita su di lei e

quello realmente fatto a pezzi di Francesco, poli opposti nella geografia del racconto ma

fuochi della medesima ellisse narrativa, nella quale conta mostrare come spostandosi

nell’asse principale della storia, al crescere di una quota di vita ne segua la drastica riduzione

di un’altra.


In Fantasmi la dinamica delle relazioni si fa più complicata, retta dalla contemporanea

presenza di corpi che non sono più, che smettono di essere, che sono svaniti o che si stanno

consumando. E in simile Wunderkammer, fatta di corpi vivi, oggetti umbratili e mobili

inutilizzati, colpisce la supposizione che ci sia una comunicazione tra i corpi che trascende

l’intelligenza umana, e rimanda a un che di fatale, a un’attrazione invisibile, quasi

infinitesimamente gravitazionale:


Eppure non era vivo, non nel senso che aveva sempre dato a quel termine: era intrappolato nel confine poroso tra la vita e la morte, sul ciglio ancora luminoso dal quale intravedeva, sotto, la muta eternità da cui era uscito un’ottantina di anni prima, quel silenzio infinito e pacificante al quale tutti, prima o poi, sarebbero tornati. E non era morto: i suoi organi sembravano sapere qualcosa sul suo destino che lui non riusciva a cogliere.

Non passa invano il tempo riporta l’attenzione su un’idea già in qualche modo affrontata

dal primo racconto: giocando su più piani temporali e su una forte intertestualità, il racconto

parla del fatto che le parole hanno effetti di realtà. Come dice l’io narrante:

Leggere, pensai, era pensare con le parole di qualcun altro, ed era impossibile che, dopo quella immersione, non rimanesse qualcosa addosso.

Un’affermazione che si lega a un brano nel Vangelo armeno dell’infanzia, apocrifo, che

viene citato poco più avanti:

Nel medesimo istante che la santa vergine diceva queste parole e si umiliava, il Verbo di Dio penetrò in lei attraverso l’orecchio, e la natura intima del suo corpo, da esso animata, venne santificata in tutti i suoi organi e i suoi sensi e purificata come l’oro dentro il crogiuolo.

La parola, insomma, ha efficacia fisica, agisce da dentro e contribuisce a modificare il

corpo e, di conseguenze, la persona; quale esempio, quale racconto migliore e più veritiero di

quello evangelico in cui il verbo si incarna? Con l’avvertenza che si tratta di un racconto che

vale anche per chi sosta in zone meno fideistiche, più razionali, finanche più atee; un

racconto di contenuto e potenza immaginifici eterni e ubiquitari. La parola è lo strumento con

cui amore muove il sole e le altre stelle.


Ne Il risveglio, la chiave di lettura è la soglia; ogni corpo ha i suoi buchi che fanno

passare alcune cose del mondo e al mondo le restituiscono come scoria, detrito, ideazione,

azione, voce. Cosa accade se a queste se ne aggiunge una sotto forma di lacerazione, di

aggressione materiale violenta? Cosa passa attraverso la disgregazione causata da una

pallottola? E cosa accade se ci passa l’anima e se poi l’anima decide di ritornare? Un corpo

offeso, vilipeso, ma non distrutto, un corpo che si àncora alla vita pur avendola trapassata, è

poi ancora uguale a se stesso? Il racconto, dove compare la frase che dà il titolo alla raccolta,

sembra dire che indietro non si torna mai davvero, che il divenire, Eraclito insegna, modifica,

e che la morte, direbbe Democrito, è disgregazione.


Ne Il signor Bovary, l’ultimo testo, c’è un’atmosfera diversa, meno cupa, meno ritirata; è

l’unico racconto in cui il corpo pretende di voler esultare, pur oltre le transenne del buon

senso, della ragione, della morale. Il corpo è qui campo da gioco, luogo di sperimentazione e

godimento, quasi una celebrazione sacrificale di sperpero, potlatch contemporanea e

autarchica. E come tale, il corpo messo in gioco (sessuale, in questo caso) appartiene alla

praxis e non alla poiesis, trova in sé il proprio senso e smette di esistere non quando le cose si fanno serie, ché il gioco già è serissimo, ma quando cambiano le regole. E si fa altro gioco. O tragedia.


Una raccolta composita, com’è giusto sia per la sperimentazione tematica che ha sempre

caratterizzato Zardi, sia per la diversità dei tempi di scrittura (Il signor Bovary, ad esempio,

compie dieci anni); e tuttavia unificata da un’intenzione forte e persistente di analisi

dell’essere umano nella sua corporea insistenza terrena.


A lettura ultimata, nel fondo in cui giace il sapore di un ingrediente che non si riesce a

identificare ancora, resta una sensazione ulteriore: il sospetto che questa ricerca fisica, l’attenzione agli impatti che subiamo e provochiamo e che ovunque ci spingono nei piani inclinati della vita, renda conto di molto di noi, ma non di tutto. L’impressione che questi personaggi, queste versioni a due dimensioni di noi fatti di carne ossa e parole, abbiano un che di irriducibile all’analisi, un’ultima fiamma che ancora bruciacchia, a dispetto dei venti che soffiano, dei fiumi in cui scendiamo, dei pezzi che lasciamo per strada, dei detriti che assommiamo, dei liquidi corporei che scambiamo; a dispetto anche della morte, che prima o poi ci coglie. L’impressione che i racconti evochino, non potendola nominare, quella cosa che è solo dell’uomo, e che fa sì che ogni azione e ogni reazione, con buona pace delle leggi fisiche, siano, più che semplici fatti, la materia grezza di cui sono fatte le storie.


La meccanica dei corpi è candidato al Premio Strega 2024. Ed è una buona notizia per

chi ama la narrativa breve; e lo è anche per l'autore che torna nell’orbita del più noto dei premi dopo essere stato in dozzina nel 2015 con quel bel romanzo che fu ed è XXI secolo,

pubblicato sempre per NEO.

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