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Una bellezza insostenibile. Je suis Charlie, di Eva Luna Mascolino




È una piccola seccatura, il fatto che non abbia

un nome. Ma io non ho il diritto di darglielo, dovrà

aspettare fino a quando non apparterrà a qualcuno.


T. Capote, Colazione da Tiffany, trad. di Bruno Tasso


In Je suis Charlie, racconto vincitore del Campiello giovani per i racconti 2015, Eva Luna Mascolino mette in scena la vita di un vignettista della celebre rivista Charlie Hebdo che d'un tratto e senza possibile resistenza sente la necessità, insieme fisica e psichica, di fuggire da Parigi, schiacciato dal peso della bellezza della capitale francese. Inventandosi il bisogno di prendersi del tempo per terminare un libro fotografico al quale, sostiene, sta lavorando da tempo, lascia Parigi, lascia la Francia e trova rifugio in un luogo improbabile - Lentini, in Sicilia - in cui nulla accade, e certo nemmeno la bellezza, e il cui unico valore sembra quello di aver dato i natali al massimo sofista della Grecia antica, quel Gorgia autore, tra l'altro, dell'Encomio di Elena, testo in cui vuole dimostrare fattivamente la principale delle teorie professate da lui e dai suoi sodali: la parola può tutto.


E allora non sfugge l'ironia di questa scelta narrativa, una sorta di mise en abyme rispetto a un racconto nel quale l'autrice compie un percorso molto simile, costruendo, di finzione in finzione, una pregevole e falsa biografia d'artista costellando la narrazione di fatti (persone, cose, luoghi etc.) appartenenti al mondo reale, e di finzioni (diari, saggi, monografie) affermati come veri, che dovrebbero inoltre sostenere e avvalorare la storia del protagonista: la parola può tutto.


La cattività siciliana dura il suo tempo e dopo numerose procrastinazioni termina col rientro di Leroy a Parigi, vinto dalla nostalgia di quella bellezza che tanto lo aveva soffocato. La reazione, incredibile, è quella di trasformarsi in un flâneur ottocentesco, un nuovo Baudelaire ma più di Baudelaire se è vero che Leroy non torna mai a casa e, secondo una routine spaventosa, instancabile e inumana, pernotta volta per volta in hotel diversi, sempre accompagnato dal fedele gatto - che ha chiamato Lechat, forse memore - Leroy o Eva Luna Mascolino - della ricusazione nominativa di Holly Golightly in Colazione da Tiffany.


Ciò che il dottor Roman Henriet trovò preoccupante, quando Leroy gli raccontò che tale condotta era proseguita per più di tre mesi, fu l'impeccabilità con cui era riuscito a proseguire la routine senza annoiarsi, stancarsi, ammalarsi, ma soprattutto, senza impazzire.

E da impazzire c'è, ci sarebbe, davvero se solo si volesse ragionare sul serio sul dispositivo drammatico del racconto, sulla casuale perfezione di un meccanismo che fa sembrare il protagonista colpevole di una sopravvivenza estetica. Fuggire dal centro del bello, perché il bello è eccessivo, rifugiarsi nell'anonimia e nell'insignificanza (di sapere, di senso) e tornare giusto in tempo per schivare l'orrore massimo di un attacco terroristico, che quel bello incrina, infrange, e assieme scoperchia il mito di una parola (quella satirica compresa) che non può tutto.


Come dice bene Michele Frisia, nella sua splendida postfazione, «ciò che disvela il racconto è la nostra orribile ed intima natura: la superficialità della nostra "aderenza leggera", alimentata ancor più dalla disponibilità di vetrine digitali; l'opportunismo dell'esibizione di quell'aderenza, finalizzata a ottenere presunti vantaggi nell'affollata gara sociale; e infine l'inconcludenza e futilità dell'esibizione egoistica che ne consegue».


Il disvelamento, che per tornare ai Greci padri nostri è un modo della verità, sta tutto nel titolo, forte, identificativo, risposta a un appello mai fatto eppure così immediatamente di moda, già retorico, già finto. Nel titolo e nel conseguente dipanarsi della storia e del racconto di Eva Luna Mascolino, con il protagonista siamo risvegliati a chiederci conto di chi siamo e di cosa davvero facciamo per confermarci. In fondo, cosa fa la letteratura se non coagulare, attorno a una rilettura di un pezzo di quel magma confuso che è il reale, i possibili noi che siamo, saremo, saremmo stati?

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