top of page
  • epicentriblog

"Manuale di disobbedienza digitale" di Nicola Zamperini.





Parliamone dunque, o molto saggi, anche se è doloroso.

È più doloroso tacere; ogni verità taciuta diviene velenosa

Nietzsche, Così parlò Zarathustra, II, Del superamento di se stessi


Manuale di disobbedienza digitale (Nicola Zamperini, Castelvecchi, 2018) è uno di quei libri che avrei voluto scrivere io. E invece, per fortuna, ho avuto in sorte di leggerlo e di poterlo presentare, assieme a Chiara, alla libreria Lovat di Villorba, per gli incontri di Lib(r)eriamoci.


É un libro diviso in due parti separate da un corposo interludio, che ha lo scopo di raccontare in una sorta di teogonia, quando e come tutto è nato, partendo dagli anni 70 del Novecento; ci ricorda la peculiarità della California come centro aggregante e ricco di stimoli; l’importanza del festival Burning Man che ogni anno dal 1986 si tiene nel Black Rock desert, in Nevada, come catalizzatore di idee e come esempio di quell’intelaiatura relazionale di stampo fideistico che caratterizza i rapporti all’interno delle aziende di cui stiamo parlando; i debiti con la cultura orientale, dalla quale la contro-cultura californiana ha attinto continuamente, Jobs e Zuckenberg in primis; il ruolo del caso e l’importanza della determinazione.

Nella prima parte Zamperini chiarisce fin dal titolo – Il luogo che abitiamo – uno dei punti essenziali del suo lavoro: il web non è uno strumento, un mezzo; men che mai è un mezzo di comunicazione, quanto piuttosto un luogo; a corollario di questo assunto, va capito senza indugio che le Techno-corporation come Facebook o Google non sono aziende come altre, ma sono nazioni: chiuse a ingerenze esterne e sempre più votate all’espansione. Dice Zamperini:

sono meta-nazioni digitali senza territorio fisico, con cittadini, regole, territori, vessilli, interessi nazionali e dunque anche commerciali. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che per prima la Danimarca, nel 2017, ha spedito un ambasciatore a rappresentare i propri interessi nella Silicon Valley, a Palo Alto, una sorta di tech-diplomacy.

Questo aspetto della chiusura è un dato interessante, che ci mostra una nuova incarnazione del concetto di frontiera, confine. Se i primi network permettevano una ampia libertà di personalizzazione (si pensi a Myspace), lo spazio inteso da Zuckenberg e dagli altri è blindato e gli utenti non hanno che pochi margini di intervento:

Il giardino del suo [scil. di Mark Zuckenberg] social network è sempre stato chiuso: le chiavi le possiede lui, lui detta le regole e lui è il padrone assoluto.


Rispetto a questo, che cosa resta alla nostra portata? Il titolo del libro allude alla possibilità di resistenza attiva che ognuno di noi potrebbe agire, innanzitutto ribellandosi alla definizione che da tempo ci circoscrive: utente. Di questa possibilità, l’ennalogo posto alla fine del libro costituisce una sorta di piccolo manifesto, quasi comunardo: 99 consigli da seguire (non tutti, se lo stesso autore confessa di metterne in pratica una trentina) per cominciare a svincolarsi dalle cattive abitudini che manteniamo, perpetriamo, insegniamo nel web. Altrettanto vero, tuttavia, è che avrebbe un valore molto limitato questo prontuario se non fosse preceduto dalla comprensione di cosa succede quando siamo in rete.


La paura più diffusa, a sentire e leggere opinioni e scandali, è quella di essere controllati da qualcuno. Si chiede cioè di essere tutelati dagli spioni, come se davvero interessasse al management di Facebook, Google, Snapchat, Amazon etc., chi fa cosa, minuto dopo minuto, quasi ci fosse dall’altra parte dell’ipotetico filo un arcigno e pignolo impiegato della Stasi interessato a collegare azioni e agente (come in Le vite degli altri).

Non è così, non almeno nella configurazione che ci impaurisce. Questa cosa, al limite, la facciamo noi andando a spiare il profilo di conoscenti, amici, ex fidanzati, colleghi.



Un fotogramma di Citizen Kane, di Orson Welles


Per le Techno-Corporation ciò che conta è che ogni singola attività che compiamo in rete sia spersonalizzata, ridotta a dato e archiviata per generare conoscenza; non filosofica o psicologica, sulla natura dell’essere umano; piuttosto predittiva, sulle abitudini dell’uomo-agente e uomo-consumatore, e sull’impatto che esse hanno in termini commerciali. L’avvertimento dell’autore è chiaro: noi stiamo fornendo gratuitamente una quantità incredibile di dati (un breve video sui big data è qui) ad aziende che da quei dati traggono profitto. Un grandissimo profitto. Un profitto che continua a crescere.


In Uno, nessuno e centomila Luigi Pirandello ci consegna questa riflessione:

Io volevo esser solo in un modo affatto insolito, nuovo. Tutt’al contrario di quel che pensate voi: cioè senza me e appunto con un estraneo attorno. […] La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, è soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, così che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un’incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l’intimità stessa della vostra coscienza. La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi.

La solitudine vera, dunque, è in un luogo che ci ignora del tutto e del quale tutto ignoriamo. Un luogo inafferrabile e capace di annullare l’intimità della nostra coscienza.

Paradossale in un’epoca nella quale pare, al contrario, che tutto sia noto o a breve portata di mouse; un’epoca nella quale gli atti sociali che più ci prendono tempo e sforzo sono la condivisione dei fatti nostri e lo scrolling delle altrui bacheche. Per sapere, per spiare, per confrontare e, sia mai, godere o invidiare; per reagire insomma, approfittando di uno dei sei possibili stati d’animo che da non molto tempo Zuckenberg e Co. hanno messo a nostra disposizione.


Nella seconda parte, intitolata Ciò che stiamo perdendo, Zamperini coagula la teoria e la storia in alcuni capitoli dedicati ad aspetti, momenti, emozioni umani messi in pericolo dalle attuali liaisons dangereuses che intratteniamo con la tecnologia. L’autore non vuole passare per un catastrofista o, come ha efficacemente ripetuto anche durante il nostro incontro, per un luddista (qui, per approfondire); nemmeno tuttavia ci invita a cedere al fascino di una tecnologia sociale che vuole esclusivamente se stessa, come la volontà di potenza di Nietzsche, e che in cambio di una ben regimentata ma misera dose di sicurezza, ci ha chiesto di sacrificare non più solo l’immediata soddisfazione pulsionale, come insegna Freud, ma la nostra stessa mobile e a tratti diseducata struttura sentimentale, in vista forse di un’apocalisse digitale durante la quali risorgeremo tutti e ognuno avrà un hard-disk contenente i pochi gigabyte in cui è stata quantificata l’esistenza (sulla questione del quantified self vi invito a vedere questo documentario).



Un fotogramma di Modern times, di Charlie Chaplin


Ecco allora il consiglio, mutuando le parole di G. Fontana: essere sabbia negli ingranaggi del sistema e ripartire da ciò che più conta e più stiamo rischiando: La nascita, Amore, Amicizia, Gli addii, Il diario, La memoria, Lo sguardo, Distrazione, Morte.

Chiudeva, Pirandello, quella riflessione a cui abbiamo accennato sopra, con una domanda che val la pena porsi ancora:

Se per gli altri non ero quel che ora avevo creduto d’essere per me, chi ero io?
38 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page