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Apocrifo a chi? Santi numi, di Jacopo Masini



La storia dell’agiografia (genere letterario che riguarda la vita dei santi, dei martiri) si lega a quella della Chiesa[1], che vede nel racconto di vite esemplari un modo felicissimo di accattivare ed edificare, dissimulando la precettistica morale nella trama di fatti affermati come veri e accaduti a uomini reali, semplici, capaci di essere straordinari sotto l’influsso di Dio.


Il libro di Jacopo Masini si pone rispetto al genere dell’agiografia in modo letterariamente preciso e cosciente, rinnovando quello che era stato il prestito che già i novellisti italiani avevano esercitato attorno al XIII e XIV secolo, fino al Boccaccio incluso, pescando nella tradizione agiografica come in un bacino di suggestioni, spunti, trame, peripezie; dopo Boccaccio il rapporto si attenua e sarà proprio il grande fiorentino, data la felice e somma sua opera letteraria, a imporsi come esempio per gli scrittori successivi.



Nei racconti di Jacopo, va detto, le fonti sono molteplici e varie, come del resto avevamo già avuto modo di notare per il libro precedente Polpette (recensione qui). E se per alcuni il riferimento è fin troppo palese a certe narrazioni bibliche (La doppia visita dell’angelo che richiama fin nei nomi l’episodio di Giuseppe e Maria; Il profeta Gianni, memore dell’avventura di Giona nella balena, etc.), altrove i modelli e spunti affondano nella letteratura alta e bassa in egual misura, ricordando il patrimonio dei motti di spirito e delle barzellette, quello dei racconti e dei romanzi (non è forse Marcello Allodi un degno compare del Pin calviniano?), quello ancora delle poesiole e filastrocche (I fatti di paroletta non sono forse l’estensione della storia della Vaca Vittoria?), quello infine dei racconti umoristici che sfiorano il nonsense (come nella Storia di Grazia Migliari).


A questo proposito, un carattere interessante della raccolta di Jacopo Masini, un carattere più di ragione narrativa che di mero risultato, è che le storie che ci racconta hanno, appunto, tutte una eco nei racconti passati, di matrice vetero o neotestamentaria, come abbiamo visto, ma non soltanto. Questo significa che la sua è un’opera di ritrascrizione, di adattamento, e quindi di duplicazione. In questo si ripete il movimento originario, laddove tutte le vite dei Santi erano a loro modo copia di episodi della vita di Gesù, l’archetipo della santità. L’istanza narrativa sta sempre in una zona indefinita di confine tra vari elementi: il recupero di dati, fatti, parole che vengono dal passato, dalla tradizione; la ripetizione – anche inconscia – di quello che è già stato detto; l’invenzione attuale, estatica, capace anche di forzare il materiale di partenza e spingere l’occupazione del territorio immaginario un passo, seppur breve, più in là.


In ultimo, vorrei far notare un aspetto legato alla parola, allo stile, al registro dei testi presenti in Santi Numi. Anche qui corre l’obbligo di riferirsi a una delle declinazioni della letteratura riguardante i santi, quella delle Legendae, sottogenere della letteratura sui santi nato nell’Alto Medioevo. In origine, prima cioè che il termine andasse a cristallizzarsi nel significato di racconto di qualunque genere che, partendo da fatti storici, ne esalti degli elementi in modo fantastico, la leggenda era una breve narrazione relativa alla vita dei Santi sempre con fini di edificazione morale e di cui si dava lettura nel giorno dedicato a quel santo. La cosa importante, da cui il nome, sta in tale carattere performativo dello scritto; ecco, i testi di Jacopo Masini sono pensati per la lettura, sia per la vivacità dello stile, sia per la sintassi a volte ricca di anacoluti e di ripetizioni (come se fossero trascrizioni di un discorso), sia per le infiltrazioni di codici bassi e vocaboli o frasi dialettali.


La lettura ci lascia la sensazione che fosse vero quell’avvertimento d’autore che parlava della scomparsa del sacro dal nostro mondo. E piace pensare che fosse soprattutto il sacro inscenato da Jacopo Masini quello a cui ci si riferiva, orfani reali come siamo di personaggi come Rodolfo Tamani, il taumaturgo, capacissimo di trattare l’ipocondria dell’amico, o come Nanda Azzali, degna compagna (gli anni sono quelli) del pescatore raccontato da De André, entrambi scomparsi, insieme a molti moltissimi altri, nelle nebbie dure di quelle basse che un tempo erano una terra, se non proprio santa, certamente ricca di promesse.

[1] L’Enciclopedia Treccani dice: «Nel corso dei primi secoli del cristianesimo, l'a. assunse una dimensione essenzialmente cultuale. A partire dal sec. 3° o dal 4°, le principali Chiese tennero aggiornato e, di conseguenza, continuamente arricchirono il loro martirologio: un calendario diviso per mesi e per giorni, con i nomi di uno o più santi locali o universali - ricordati in corrispondenza a certe date - e con l'indicazione del luogo della loro morte. Più tardi queste liste, in origine abbastanza succinte, furono arricchite di notizie relative alla vita del martire o del confessore e alle circostanze della sua morte», trovate il testo qui (link consultato il 7 ottobre 2021).

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