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I baffi, i cavalli e qualche linea di follia

die Welt ist verklärt, denn Gott ist auf der Erde[1]



La logica della ragione ha ceduto a quella del delirio. A Torino, tra la fine del 1888 e l’inizio del 1889. Nietzsche aveva trovato rifugio nella città sabauda nell’aprile del 1888, giungendovi per la prima volta nella sua vita e venendone affascinato completamente, come da nessun altro posto prima. Nemmeno Venezia, nemmeno Nizza che con i suoi duecentoventi giorni di cielo sereno e terso gli garantiva quel clima che per tutta la vita aveva cercato, fuggendo dalla cupezza tedesca, dal freddo svizzero.

Torino fu una scoperta, un dono, un luogo magico e aristocratico in cui passeggiare, sentirsi libero, farsi degustatore ed esperto di dolci.

Ieri ho fatto, con la Tua lettera in mano, la mia consueta passeggiata pomeridiana fuori Torino. Ovunque la più limpida luce di ottobre, lo splendido viale alberato, che per circa un’ora mi ha condotto lungo il corso del Po, quasi non ancora sfiorato dall’autunno. Adesso sono l’uomo più colmo di gratitudine del mondo – con una disposizione d’animo autunnale nel miglior senso del termine: è il periodo della mia grande vendemmia[2].

A Torino Nietzsche si ritirò, sia dagli altri – come tappa finale nel suo viaggio di distacco e rifiuto delle persone; sia dal mondo, chiudendosi nella stanza in cui era a pensione a trenta lire al mese in via Carlo Alberto 6, e fino a che l’amico Franz Overbeck, partito da Basilea alla notizia del crollo mentale del filosofo, non riuscì a scovarlo, trovandolo in pessime condizioni fisiche, rannicchiato in un angolo del divano, spaurito, apparentemente vinto dal demone della follia, del dionisiaco, del tragico.

È celebre, benché non certo, l’episodio scatenante la follia finale di Nietzsche; uscendo di casa il 3 gennaio del 1889, il filosofo, dopo aver visto un vetturino maltrattare il proprio cavallo, corse loro incontro, dicendo all’uomo di smetterla e abbracciando in lacrime l’animale.

Il fatto che del cavallo non si sia saputo più nulla, ha spinto il regista ungherese Béla Tarr a realizzare un lungometraggio incentrato sulla vita del vetturino, della figlia e dell’animale. Si trova, sottotitolato, qui . Di seguito invece una delle scene più intense e filosoficamente impegnative dell’opera; il monologo ha evidenti contatti con la riflessione nietzscheana.

Un cavallo frustato dal cocchiere è al centro anche della storia del piccolo Hans, uno dei famosi casi clinici pubblicati da Freud e tappa fondamentale nella definizione del concetto di fobia e di fantasie sessuali infantili che riguardano il complesso edipico, la rivalità fraterna, l’angoscia di castrazione e la curiosità sessuale pre-genitale.

Io non condivido l’opinione oggi in voga secondo cui quello che dicono i bambini sarebbe sempre arbitrario e inattendibile. Nulla è arbitrario nel campo della psiche, l’inattendibilità delle affermazioni dei bambini deriva dalla prepotenza della loro fantasia, così come l’inattendibilità delle affermazioni degli adulti proviene dalla prepotenza dei loro pregiudizi. D’altronde i bambini non mentono senza ragione e in generale sono più inclini all’amor del vero che non gli adulti[3].

È in questa stessa opera che Freud dice:

Ora, è per lo meno molto verosimile che l’educazione del bambino possa esercitare un profondo influsso a favore o a sfavore di quella predisposizione alla malattia che abbiamo menzionato come fattore della sommazione. Ma a che deve mirare l’educazione? Dove deve intervenire? […] Finora, essa si è posta per compito soltanto il dominio, o meglio la repressione delle pulsioni. I risultati sono stati tutt’altro che soddisfacenti… D’altra parte nessuno si è domandato per quali vie e in virtù di quali sacrifici si raggiunga la repressione delle pulsioni imbarazzanti. Se per contro noi sostituiamo a questo compito un altro, quello di rendere l’individuo atto alla civiltà e utile membro del consorzio umano, senza chiedergli di sacrificare la propria attività più di quanto non sia strettamente necessario, ecco che allora i chiarimenti datici dalla psicoanalisi sull’origine del complessi patogeni e sul nucleo di ciascheduna nevrosi meriteranno giustamente di essere considerati dall’educatore una guida di inestimabile valore per la condotta da tenere nei confronti del bambino[4].


L’educazione è un tema centrale in questo e in altri testi di Freud e ci permette di avanzare nel discorso facendo un salto indietro di più di duemila anni e recuperando alcuni concetti espressi nelle Leggi, l’ultima e incompiuta opera di Platone.

Le Leggi parlano ancora di politica, di costituzioni, di governo (dopo che il tema era stato al centro della Repubblica e del Politico), dal punto di vista di chi deve fondare non un consorzio umano dal nulla, ma una concreta colonia a Creta formata da gente mista, proveniente dall’isola di Creta e dal Peloponneso. Ecco che il problema sarà dato dal fatto che:

una stirpe eterogenea che confluisce in un medesimo luogo sarà più ben disposta a prestare orecchio a nuove leggi, ma il trovarsi in sintonia e, come in una pariglia di cavalli, lo sbuffare ciascuno in accordo con l’altro, come si dice, richiede molto tempo ed è assai difficile. Ma in effetti è compito di uomini che abbiano conseguito la perfezione nella virtù stabilire le leggi e fondare nuovi stati[5].

Ancora cavalli! L’immagine è forte e non può non ricordare quanto Platone dice nel Fedro riguardo all’anima:

Si immagini l’anima simile a una forza costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga. I cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono misti. E innanzitutto l’auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d’ugual specie, l’altro è contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di definire in che senso il vivente è stato chiamato mortale e immortale[6].

Nelle Leggi, ancora, viene affrontato il tema capitale dell’educazione (παιδεία), da svolgersi attraverso quello che Platone definisce un incantesimo che permetta, attraverso l’uso di musica e danza, ritmo e armonia, di agire sulla anima non razionale dell’uomo e metterla in equilibrio con le altre due anime; sarà la virtù della temperanza a controllare il piacere senza rimuoverlo, in modo da garantire amicizia e concordia e, con ciò stesso, l’instaurarsi di una vera comunità.

Quale sarà allora un retto criterio per vivere? Bisogna vivere giocando i propri giochi, facendo sacrifici, cantando e danzando, in modo da poter rendere benevoli se stessi gli dèi, respingendo i nemici e vincendoli in battaglia[7].

Ecco che forse il gioco, la danza dionisiaca, la carrellata di maschere e infingimenti, di malìe e incantesimi, finiscono per mostrare sotto una luce diversa la logica del delirio del Nietzsche torinese, l’ultimissimo Nietzsche prima del silenzio lungo undici anni.

Alla principessa Arianna, la mia amata.
È un pregiudizio che io sia un uomo. Ma ho spesso vissuto tra gli uomini e conosco tutte le esperienze che gli uomini possono fare, dalle più basse alle più alte. Tra gli indiani sono stato Buddha, in Grecia Dioniso — Alessandro e Cesare sono le mie incarnazioni, come pure il poeta di Shakespeare Lord Bacon. Da ultimo sono stato ancora Voltaire e Napoleone, forse anche Richard Wagner… Ma questa volta vengo come Dioniso vittorioso, che renderà la terra un giorno di festa… Non che io abbia molto tempo… I cieli gioiscono per il fatto che sono qui… Sono stato anche appeso alla croce…[8]

Chiudo con quella che è la chiave di volta per capire questo testo, il filo che lega gli enormi personaggi citati, le loro opere, i loro lasciti; nonché il motto che dovrebbe guidare ogni pedagogia rivolta ai viventi:

Diventa necessario! Diventa limpido! Diventa bello! Diventa sano![9]

[1] Il mondo è trasfigurato poiché Dio è in terra. Così inizia un biglietto datato 3 gennaio 1889 e indirizzato a Meta von Salis-Marschlins. Appartiene a quelli comunemente noti come die Wahnzettel, biglietti della follia, lettere scritte da Nietzsche a Torino durante la fase acuta del suo delirio, al principio del 1889.

[2] Lettera a Overbeck, 18 ottobre 1888, trad. it. di Vivetta Vivarelli

[3] Sigmund Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni, in Opere complete, vol. 5, a cura di Cesare Musatti, Bollati Boringhieri

[4] Ibid.

[5] Platone, Leggi 708d, trad. it. di Enrico Pegone

[6] Platone, Fedro 246a-b, trad. it. di Giovanni Caccia

[7] Platone, Leggi 803d-e, trad. it. di Enrico Pegone

[8] Lettera a Cosima Wagner, 3 gennaio 1889, trad. it. di Vivetta Vivarelli

[9] Nietzsche, Frammenti postumi 1882-1884, trad. It. di Leonardo Amoroso e Mazzino Montinari

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