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Ancora la Puglia, per altre cose e per chiudere il giro




Chi, come me, è appassionato della trilogia di Ritorno al futuro non potrà che avere chiaro in mente quale canzone accolga Marty al suo imprevisto arrivo nella Hill Valley del 1955, il 5 Novembre.


Dagli amplificatori posti all’esterno del Roy’s Records in Courthouse square viene trasmessa Mr. Sandman, nella versione al maschile incisa dai Four Aces, un gruppo vocale di 4 giovanotti bianchi che avevano inciso nel 1954 la canzone, lo stesso anno della prima incisione da parte del gruppo The Chordettes, composto invece da 4 giovani donne di colore e attivo dal 1946. Il fenomeno dei gruppi vocali è centrale per la musica popolare americana del dopoguerra e diede vita a un genere chiamato Doo Wop, un sintagma onomatopeico che richiama il verso che i cantanti emettevano per imitare il suono dei fiati nei brani R n’ B.


Se a qualcuno interessa ecco una playlist rappresentativa e comprensiva naturalmente del brano delle Chordettes nonché della versione originale di Earth angel, cantata sempre in Ritorno al futuro da un gruppo di fantasia: Marvin Berry and the starlighters.

Chi ama la trilogia di Zemeckis – amore serio, intendo – sa bene che non c’è alcunché di casuale nelle scene e che ogni scelta ha un elemento di interesse (e di aggancio agli altri episodi). In rete si trovano quantità di spunti in merito. Non può che essere lo stesso per la canzone di cui scrivo e a questo proposito in questo post si avanza una acuta lettura circa il motivo per cui è stata scelta la versione dei Four Aces invece dell’originale delle Chordettes.

Il Mr. Sandman della canzone è l’equivalente dell’omino del sonno presente nel




folklore del Nord Europa; è così chiamato perché per far dormire i bambini pare cosparga sugli occhi una manciata di sabbia o polvere, portando insieme sogni felici.

Con intenzioni un po’ diverse, Giove si affidava al figlio Mercurio per portare il sonno dove necessitava, come emerge ad esempio nel racconto di Argo, messo da Giunone a guardia di Io tramutata dallo stesso re degli Dèi in giovenca. Nell’Eneide, invece, Giove – sempre alle prese con i fastidi creati in terra dall’ira della moglie – è costretto a mandare Mercurio in sogno a Enea per esortarlo, ma sarebbe bene dire costringerlo, a mollare Didone e la Libia per tornare sul suo cammino (non erano gli stessi Libici a cui Doc Brown ha rubato il plutonio, naturalmente). C’era Roma da fondare e la storia non poteva permettersi di attendere i tempi lunghi dell’obnubilamento amoroso dell’eroe teucro, che in effetti senza alcun indugio segue il comandamento divino e lascia a struggersi la bella Didone, con gli esiti noti ai più.

Su Didone, che è personaggio di grande spessore, non dico niente e vi rimando alle valide parole di Galatea Vaglio nel suo blog (qui) e nel libro che raccoglie questa e altre biografie di personaggi antichi (questo, anche in ebook).

Parlando di Enea, invece, e delle sue faticose e annose avventure in mare, pare che il primo approdo nella penisola italica sia stato in Puglia; a contendersi l’onore ci sono Porto Badisco e Castro, che da qualche anno (2015) si è avvantaggiato nella corsa grazie al ritrovamento di un busto raffigurante, così si interpreta, una Atena (simile all’Atena Illiaca tramandata dalla iconografia), in questo dunque riscontrando le parole di Virgilio che nel canto III fa dire a Enea: “le brezze bramate crescono ed ormai più vicino si apre il porto e sulla rocca appare il tempio di Minerva”.


Sì, Castro (all’epoca romana chiamato Castrum Minervae) sembra avere le carte in regola per essere quell’approdo tanto sudato da Enea (che aveva contro Giunone, si ricorderà). E certo se l’eroe fosse vissuto qualche anno prima – insomma, qualche milione di anni prima – la faccenda dell’arrivo in Italia sarebbe magari stata più facile; in Puglia, nella vasta zona delle murge, sono diffusi alcuni tipi di quercia, tra cui il cosiddetto Fragno, il cui nome scientifico è Quercus Trojana Webb. In Italia è presente solo qua, e si ritrova in Turchia e nei Balcani, cosa che ha fatto supporre una passata saldatura tra la Puglia e i Balcani.


Mi è capitato di leggere di questa quercia e della sua storia nel museo del territorio di Alberobello nella bella Casa Pezzolla. Alberobello è parte della Val d’Itria che a sua volta appartiene alle succitate murge ed è un caso unico al mondo di abitato costituito, nella parte più storica si capisce, da abitazioni-non abitazioni: i trulli, un caso raro anche come positivo effetto del conflittuale rapporto che gli Italiani hanno con tasse, imposte e balzelli. Nel caso di specie, furono i conti di Conversano Acquaviva d’Aragona a imporre ai contadini di costruire queste strutture a secco (cioè senza malta come legante), in modo da farle passare per costruzioni temporanee e evitare le tasse richieste dal Regno di Napoli per ogni nuovo insediamento urbano. Quasi inutile dire che gli stessi conti di Conversano Acquaviva d’Aragona non evitarono mai di chiedere ai suddetti contadini la decima. Questo almeno fino a che Ferdinando IV di Borbone emanò un decreto secondo il quale Alberobello era elevata al rango di città regia, e per ciò liberata dalla servitù feudale dei conti.

Era il 1797. Un anno, sia detto per inciso, di una certa rilevanza anche per la poesia visto che sono stati pubblicati gli Inni alla notte, di Novalis, e visto soprattutto che il conte non ancora gonfaloniere Monaldo Leopardi (di cui ho scritto qui) e la consorte marchesa Adelaide Antici stavano mettendo in cantiere il loro primogenito.


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