top of page
epicentriblog

Libri Letti - Gennaio




Gennaio è andato così, con un paio di preziose riletture.

Il maestro e Margherita. È uno dei miei libri del cuore, che non smetto di consigliare. La responsabilità di avermi fatto incontrare Bulgakov e il suo capolavoro è del professore di lettere del triennio, al liceo. Mi ricordo che poi facemmo una lezione sul romanzo, in cui chiese cosa ne pensassimo e cosa avessimo da dire al riguardo. Non era molto soddisfatto mi sa. A un certo punto dissi qualcosa circa il fatto che Woland, il diavolo, fosse a Mosca come se dovesse espiare i suoi peccati e che quindi Mosca era un posto peggiore dell’inferno. Ricordo che disse qualcosa tipo: Attenzione, ché forse te gà capìo qualcossa… A distanza di un quarto di secolo dico che in realtà questa trovata mi veniva dalla nota critica di Igor Sibaldi, a fine libro; ho un po’ barato, ma ho imparato una nozione e un metodo: chiedere sempre ai libri cosa portino, metterli alla prova, forzarne i confini. L’edizione è sempre quella, la nota è sempre lì, e le parole di Bulgakov non smettono di mostrare la loro potenza immaginifica.


La nascita della filosofia. Di Giorgio Colli avevo letto molto altro, compresi i tre volumi Adelphi su La sapienza greca. Libri che posso apprezzare meno di altri, non conoscendo il greco e non potendo quindi seguirlo nella spiegazioni delle scelte di traduzione. In questo volume, chiaro e luminoso, dice almeno un paio di cose su cui rimanere a lungo: a) che la dicotomia instaurata da Nietzsche tra Dioniso e Apollo è parziale, incompleta, e che anzi i due dèi sono molto simili e vicini; che quella che chiamiamo filosofia e che parte da Platone (e, quindi, si apparenta alla diffusione della scrittura), è in realtà il principio della decadenza della vera sapienza, che va ricercata altrove, più indietro.


La casa del sonno. Anche qui torniamo indietro nel tempo, avevo 20, forse 21 anni. Lavoravo di sera come custode di una palestra. E nella scuola a fianco c’era un altro ragazzo, anche lui universitario (cinema), anche lui ad arrotondare con questo lavoro. In breve finimmo per passare molto tempo assieme a chiacchierare di cinema, letteratura, musica. Tra le tante cose che mi ha fatto conoscere ne cito due: Le iene, di Tarantino, e questo romanzo di Coe. A unirli la destrutturazione del racconto, il gioco col lettore e lo spettatore, la contaminazione. Rileggere un libro, soprattutto un libro amato, è fare i conti con l’indefettibile azione dell’oblio che tanto cancella e poco risparmia. Soprattutto è ricordare che ciò un libro lascia ha meno a che fare con la storia e più con la meraviglia.


Montagna madre. Edizioni Biblioteca dell'Immagine ha fatto un grande favore ai lettori ripubblicando in un unico volume i primi tre romanzi di Antonio G. Bortoluzzi, per l'occasione riveduti dall'autore. E benissimo ha fatto a non seguire l’ordine di pubblicazione, invertendo il terzo e il secondo il quale, messo in ultimo, può traghettare il lettore che ancora non conosce Antonio, al romanzo “Come si fanno le cose”, uscito più recentemente per Marsilio Editore. I due testi si parlano e costituiscono una preziosa riflessione sul tema del lavoro. Spero di riuscirne a scrivere presto, ma fin da qui dico che questa trilogia del Novecento va letta: per ciò che dice della montagna; per l’archeologia di saperi e poteri che sviluppa; per il suo essere elegia di una comunità sofferente e dileguantesi. Ne esco confermato su una qualità tra tutte che, in questi anni dacché lo conosco, tributo ad Antonio: l’onestà. E che ne serva di più in questo mondo traviato delle lettere mi pare superfluo dire.


Le corna del diavolo. Piero Chiara, nativo di Luino e cantore di temi e paesaggi del lago grande, è stato un scrittore amato e prolifico, uomo godurioso e pacato, narratore nel senso più popolare del termine dove l’artista cede più volentieri il passo al contastorie che darebbe tutto per averne sempre una di nuova e buona da tessere e dire. E così è in questi racconti, che parlano dei temi suoi più cari: adulteri, commerci, gite in barca, malfattori e personaggi quotidiani, gente arricchita e stolta, popolani chiacchieroni, furbi, stolidi; un grande mosaico di vizi e virtù che Chiara osserva e descrive senza sconti e senza però mai forzare la mano.


Del nostro meglio. Nel suo ultimo romanzo Carmela Scotti insiste su un tema che le è caro: l’amore si dice in molti modi. Due i piani temporali, due i narratori scelti, due le famiglie protagoniste delle vicende; famiglie che, a mo’ delle terzine dantesche, si incatenano grazie a qualcosa che le accomuna e al molto che le differenzia. Se è vero che l’amore ha molti significati, non sarà mai troppa l’attenzione alle parole con cui viene detto, promesso, minacciato, richiesto, negato. È dietro alla riga dei significanti, pare dire l’autrice, che si nasconde la sua migliore espressione: la possibilità di liberarsene.


Magnificat. In questo romanzo d’esordio Sonia Aggio ci porta nel Delta del Po, lato veneto, Polesine profondo; terra assoluta, che verrebbe quasi la tentazione di negare per quanto lontana e indefinibile, vaga e incomprensibile, essa appaia. Ed è in questa terra che Sonia ambienta, sullo sfondo prepotente della Storia dell’alluvione, una storia famigliare di sofferenza, rimorso e salvezza. Due le protagoniste, Norma e Nilde, cugine-sorelle, la cui relazione si squaderna davanti al lettore in un duplice momento, data la intelligente costruzione a specchio del racconto; così che leggere è insieme rileggere e l’opera di decifrazione dei fatti si appoggia sulla capacità di rammemorazione e ripresentazione del già detto. E non è in fondo questo che chiediamo a una storia?


46 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Opmerkingen


bottom of page